IN HOC SIGNO VINCES

Quattro semplici parole che hanno cambiato il corso della storia.
Secondo la leggenda Costantino vide queste parole, accompagnate dalla Croce di Cristo, apparire in cielo prima di scontrarsi con Massenzio a Ponte Milvio e, dopo aver fatto rivestire gli scudi, gli stendardi e le armature dei suoi soldati con il sacro segno, sconfisse il rivale e prese il potere sull'Impero.
Da questo fatto derivò l'assunzione del Cristianesimo come religione di stato, con tutte le conseguenze in termini di filosofia e politica che ne derivarono per la cultura occidentale.
Ma quanto c'è di vero in questa leggenda ?
Come vedremo, non molto.
Il fatto che la croce di Cristo fosse presente sulle armi dei soldati di Costantino è, se non impossibile, perlomeno improbabile.
Costantino, infatti, proveniva dalle Gallie, i suoi soldati erano già di tutto punto e le insegne erano quelle romane.
Ovviamente l'interpretazione simbolica è più accessibile: l'apparizione gli comunicò che il suo abbracciare la fede cristiana gli avrebbe dato la forza per sconfiggere i nemici.
Tralasciando l'enorme distanza che questo messaggio, che trasformava la guerra fra Costantino e Massenzio in una Crociata ante litteram, ha rispetto alla predicazione di cristo e al messaggio di pace e amore da lui trasmesso, il concetto si inserisce benissimo nel novero della patristica biblica.
L'identificazione del popolo ebraico come popolo eletto era normalmente sorretta, nelle narrazioni bibliche, dall'intervento di Dio in nome del patto sancito col popolo di Israele, che portava, inevitabilmente alla vittoria in battaglia contro i nemici pagani. Tutte le volte che Dio deve punire gli isreaeliti non interviene e provoca la loro sconfitta ed essi comprendono di aver perso il suo favore.
La lettura dell'episodio che vede protagonista Costantino è da interpretarsi nel novero della sostituzione del popolo ebraico con quello romano come popolo eletto: Dio ha scelto i romani come nuovo popolo eletto e li favorirà se loro sigleranno con lui un nuovo patto. Cosa che puntualmente avviene. Per tale motivo Roma è la nuova Gerusalemme e sul suo territorio sorge il nuovo Tempio di Salomone.
La ricostruzione della vittoria di Costantino effettuata da Eusebio di cesarea che, nella sua Storia Ecclesiastica (Ἐκκλησιαστικὴ ἱστορία), paragona la disfatta di Massenzio e il suo annegamento nel crollo del Ponte Milvio, all'annegamento dell'esercito egiziano nel Mar Rosso durante l'Esodo, fornisce ulteriore forza alla ricostruzione dell'episodio in chiave biblica.
Occorre anche, per correttezza, specificare come in quest'opera, scritta poco dopo i fatti, non venga menzionato, in realtà, alcun fatto prodigioso a favore di Costantino.
Nemmeno Lattanzio, nel suo De Mortibus Persecutorum, anch'esso risalente all'immediato periodo successivo alla battaglia di Ponte Milvio, parla di visioni avute da Costantino ma, piuttosto, di un ordine ricevuto in sogno dal prossimo imperatore: quello di utilizzare sugli scudi un segno divino (coeleste signum Dei). Non ci viene detto, però, chi sia stato a dare a Costantino tale ordine e neppure quale fosse il segno prescelto.
Occorre giungere al successivo Vita di Costantino, scritto da Eusebio dopo la morte dell'imperatore, di cui divenne collaboratore nel 325, per trovare traccia della visione divina.
Pur dandone nota, l'autore rimase, però, scettico, dichiarando di averlo riportato e di credervi solo perché l'episodio gli era stato raccontato dallo stesso Costantino sotto giuramento.
Cosa riporta Eusebio esattamente ?
Secondo il suo racconto Costantino, che aveva già abbracciato il monoteismo (ma non ci è dato di sapere quale culto) prima di muovere Gallie verso Roma. Ci viene detto che prima di impegnare in battalia l'esercito di Massenzio, verso mezzogiorno, mentre pregava, nen cielo sopra di lui, bene visibile anche a tutto l'esercito, apparve una croce di luce con la scritta ἐν τούτῳ νίκα. La notte successiva avrebbe, poi, sognato Cristo che gli ordinava di adottare il simbolo apparso in cielo come proprio vessillo.
In questo modo Eusebio si allinea anche al racconto di Lattanzio ottenendo una maggiore credibilità e un indirizzo cristiano degli avvenimenti.
Incuriosito da quanto avvenuto Costantino avrebbe chiamato, presso di sé, i sacerdoti cristiani affinché lo istruissero sul Cristianesimo, di cui era ancora all'oscuro.
Arrivato, successivamente, a contatto con le truppe di Massenzio, si fece precedere dal labaro imperiale, sul quale era riportato il Monogramma di Cristo, cioè le lettere greche Chi e Ro (XP le prime due lettere della parola greca ΧΡΙΣΤΟΣ cioè Christòs) sovrapposte.
Dove avvenne, però, questo fatto?
Le ricostruzioni più tarde identificano il luogo con Casale di Malborghetto, nei pressi di Saxa Rubra, a Roma, dove venne costruito anche un arco commemorativo dell'evento.
Secondo le prime ricostruzioni, invece, tenendo conto che Eusebio non aveva indicato alcun luogo, si ritenne che l'apparizione fosse da collocare prima del primo scontro fra le forze di Costantino e quelle di Massenzio.
Ma dove avvenne questo scontro ?
Come abbiamo visto Costantino entrò in Italia dalle Gallie, attraverso la solita "porta", già usata da Annibale, che dal Moncenisio portava alle Chiuse di San Michele. Subito dopo il suo ingresso nel territorio italiano avvenne la Battaglia di Torino, che si risolse in una sconfitta disastrosa per le truppe di Massenzio e aprì a Costantino la strada verso Roma, attraverso Milano e Verona.
La campagna piemontese di Massenzio fu un disastro anche dal punto di vista del ritorno di immagine. Le sue truppe, infatti, bruciarono Susa, ottenendo il risultato di farsi chiudere in faccia le porte di Torino durante la ritirata dalle Chiuse e permettere, così, ai soldati di Costantino di farne scempio sotto le mura.
Il comportamento di Costantino, che spense l'incendio a Susa ed entrò acclamato a Torino, gli fece ricevere l'appoggio di numerose altre città del nord Italia, costruendo le basi per la disfatta di Massenzio.
Secondo le prime ricostruzioni, quindi, Costantino e il suo esercito ebbero la propria visione mentre erano alle Chiuse di San Michele, quella stretta valle che si trova fra il monte Pirchiriano, sul quale oggi sorge la Sacra di San Michele, famosa per aver ispirato Umberto Eco ne Il Nome della Rosa, e il Musinè, sul quale, proprio in memoria di questo fatto, nel 1901, venne eretta una enorme croce con la targa «IN HOC SIGNO VINCES - A PERPETUO RICORDO DELLA VITTORIA DEL CRISTIANESIMO CONTRO IL PAGANESIMO RIPORTATA IN VIRTÙ DELLA CROCE NELLA VALLE SOTTOSTANTE IN PRINCIPIO DEL SECOLO IV SUA MAESTÀ IL RE VITTORIO EMANUELE III MARCH. MEDICI SEN. DEL REGNO CONT. CARLO E CONT. GIULIA CAYS DI CASELETTE.»
E' dimostrato che Il monte Pirchiriano fu sede di un presidio militare romano, a protezione della via Cozia (o delle Gallie) che congiungeva Augusta Taurinorum (Torino) a Vapincum (Gap).
Testimonianza dell'insediamento romano è la lapide che si trova in loco, la quale testimonia la sepoltura di un certo Surio Clemente, figlio di Mogezio Surio e Orbia Vibia, e di sua moglie Aurelia Quarta. Tale lapide è databile al I sec. d.C.
Occorre, però, spiegare come fece un esercito, in gran parte pagano, ad abbracciare la religione cattolica in modo tanto repentino.
Volendo tralasciare la possibilità di un effettivo intervento divino, che risolverebbe ogni problema privandoci di ogni necessità di spiegazione, sono state proposte alcune soluzioni, fra le quali quella storicamente più logica lega i fatti avvenuti alla grande diffusione del culto di Mitra all'interno dell'esercito romano.
Attorno all'anno 0, mentre Roma si trasformava da Repubblica a Impero, nell'Urbe vennero importati, dai tanti soldati e abitanti che vi si trasferivano da ogni parte dei suoi domini, numerosi e differenti culti legati a nuove divinità come Cibele, Serapide e Iside.
Il culto che raggiunse la maggiore importanza all'interno dell'impero, nel periodo compreso fra il I e il III secolo d'C, fu però quello di Mitra, il dio persiano della luce, cui furono dedicati, nella sola Roma, oltre cento santuari.
Questo era, probabilmente, dovuto alla prospettiva di salvezza ultraterrena che la nuova religione offriva a degli uomini cui la Repubblica prima e l'Impero poi, non concedevano più una vita piena e realizzata.
Attorno al 1200 a.C. Mitra compare nei Veda, i libri sacri della tradizione induista, identificato come divinità solare e governatore del giorno.
Venne, successivamente, assunto dallo Zoroastrismo Persiano, che legò alla sua figura anche i caratteri propri di un altra divinità del pantheon induista, Indra, capo dei Deva (le divinità induiste), Re dello Svarga (il paradiso induista situato sulla cima del monte Meru), Signore della Folgore, del Temporale, delle Piogge e della Magia.
Assumendo anche i tratti di Indra, Mitra diviene una divinità completa e autosufficiente, in grado di primeggiare sulle altre, assumendo una posizione prevalente fra gli esseri creati da Ahura Mazda, con l'obiettivo di proteggere i giusti dalle forze malvagie di Angra Manyu (il "nemico" di Ahura Mazda).
Secondo la mitologia Mazdea, Mitra nacque da una roccia con l'obiettivo di salvare il mondo, ricevendo l'ordine, attraverso un corvo, di uccidere il Toro della Vita.
Aiutato dal suo cane, intrappolò il toro in una grotta e lo uccise con una coltellata al fianco.
Dalla ferita fuoriuscirono tutte le piante necessarie a dare prosperità all'uomo sulla Terra, come il grano (dal midollo) e la vite (dal sangue).
Oltre che dal cane Mitra fu aiutato da altri due animali: uno scorpione ed un serpente.
Esiste, però, un'interpretazione opposta che vuole i due animali inviati dal Dio del Male Ahriman, per contrastare il sacrificio generatore.
Momento rituale del culto è il banchetto, che si celebra fra Mitra e il Dio Sole con le carni del Toro ucciso.
Successivamente, all'interno della società greca, quando Ipparco di Nicea scoprì la processione degli equinozi, identificò Mitra come loro causa. Da quel momento la divinità entrò a far parte del mondo greco e il suo culto si sviluppò, secondo alcuni a Pergamo e secondo altri a Tarso, a partire dal II sec. a.C.
E', quindi, attraverso la cultura greca che il culto di Mitra giunse a Roma attorno al I sec. d.C.
Si trattava di un culto misterico iniziatico con sette gradi di iniziazione, retti da pianeti differenti, dalle divinità ad essi associate e con simboli univoci per ciascuno di essi.
Il rituale iniziatico del primo grado era particolarmente cruento, dovendo attraversare il recipendiario due differenti prove: quella dell'acqua, durante la quale veniva immerso in una vasca di acqua gelata, e quella del fuoco, durante la quale doveva attraversare il fuoco stesso in una non ben definita maniera.
Questo culto ebbe grande sviluppo all'interno della classe militare e divenne molto importante per la società romana e per l'impero, tanto che, nel 307, Diocleziano nominò Mitra protettore dell'Impero.
La dimensione solare del Dio Mitra fece si, inoltre, che la sua figura fosse assimilata a quella del Sol Invictus.
Il culto del Sol Invictus ebbe origine in oriente, fra Siria ed Egitto, ove il culto del Sole era stato tanto sviluppato da divenire culto monoteistico sotto Akhenaton, nel XIV sec. a.C., con la venerazione del dio Aton.
Ancora in epoca storica erano segnalate feste, in Egitto ed Arabia, in onore di una divinità della luce chiamata Aion, generata dalla vergine Kore.
Per la cosmologia greca Aion era uno degli attributi del Tempo, inteso come presente, e Kore era uno dei nomi di Persefone, da cui il rimando ai misteri Eleusini e al culto di Phanos.
Con ogni probabilità il culto del Sol Invictus giunse a Roma attraverso la via ellenica e, sin dai tempi di Caracalla, si ebbe una monetazione dedicata al Sole.
Nel 218, però, divenne imperatore Eliogabalo, nato ad Emesa, in Siria.
Il nome Eliogabalo deriva dal ruolo di sacerdote del culto di Elagabalus Sol Invictus che il giovane siriano rivestiva ad Emesa.
Questo culto egli trapiantò a Roma, facendo erigere un tempio enorme sul Palatino e dedicandolo alla divinità solare di Emesa.
I contrasti avuti col Senato e la sua morte, avvenuta nel 222 misero, però, fine alla diffusione di questa religione.
L'iconografia solare rimase, però, bene radicata nelle menti dei romani e molti imperatori successivi si fecero rappresentare con la corona radiata sulle monete da loro coniate.
Bisogna attendere il 272, anno in cui l'Imperatore Aureliano sconfissee Zenobia, regina di Palmira, grazie all'aiuto della città stato di Emesa, per ritrovare il dio Solare protagonista della storia romana.
Aureliano stesso dichiarò di aver avuto una visione del dio Sole di Emesa che infondeva coraggio nelle truppe romane nel corso della battaglia (ricorda qualcosa ?).
Due anni dopo l'imperatore fece venire a Roma i sacerdoti di Emesa e ufficializzò il culto del Sol Invictus, edificando per questo un tempio sul Quirinale e creando dei nuovi Pontefici ad esso dedicati.
Pare, in realtà, che tale scelta sia stata compiuta al dine di rendere più coeso l'impero: in molte regioni dello stesso, infatti, erano venerati il Sole, la luce o attributi di altre divinità in forma solare, come avveniva con Giove e Apollo.
Ci dice Tertulliano che gli stessi Cristiani dei primi tempi erano ritenuti adoratori del Sole, in quanto festeggiavano la domenica come giorno di resurrezione e, nello stesso giorno (che allora non aveva tale nome), si festeggiava il Sole. Aureliano, infatti, aveva reso il culto del Sol Invictus il principale dell'Impero e istituito la festa del Dies Natalis Solis Invicti (Giorno di nascita del Sole Invitto), al termine dei Saturnali, che si tenevano in occasione del solstizio invernale.
Il culto di Aureliano aveva molte similitudini col mitraismo, a partire dall'iconografia del dio: un giovane imberbe.
Presto il Sol Invictus venne, quindi, associato al culto di Mitra, che venne definito Invictus.
Sempre con Mitra iniziò ad essere identificato anche il dio della Guerra, Marte, probabilmente a causa della grande diffusione che questo culto aveva fra i soldati: quelli a lui fedeli erano soliti ornare i propri scudi con il suo simbolo, formato da una croce ed una X sovrapposte con un cerchio al centro, facilmente confondibile con il Chi-Rho.
A questo punto è breve il passo fino all'identificazione della leggenda che vede protagonista Costantino con i fatti legati al culto di Mitra, laddove l'intervento delle legioni fedeli a Mitra potrebbe aver dato la vittoria al prossimo imperatore.
Tale leggenda sarebbe stata, in seguito, riadattata in chiave cristiana.
Questa ricostruzione sarebbe coerente con le modalità dell'apparizione: una croce di luce alta nel cielo a mezzogiorno che, secondo Eusebio di Cesarea, sarebbe apparsa a Costantino sovrapposta al Sole.
A ulteriore conferma di tale ricostruzione sappiamo che Costantino, in qualità di Pontifex Maximus, rappresentò il Sol Invictus sulla sua monetazione ufficiale, assieme all'iscrizione SOLI INVICTO COMITI (Al compagno Sole Invitto).
Il 7 marzo del 321, inoltre, stabilì che il primo giorno della settimana, il Dies Solis (Giorno del Sole), doveva essere dedicato al riposo.
Seguendo questa ricostruzione, quindi, Costantino non si convertì affatto al cristianesimo, ma si tratterebbe solo di un riadattamento successivo in chiave cristiana della sua adesione al mitraismo.
Infatti Costantino avrebbe abbracciato il Mitraismo o il culto del Sol Invictus nelle Gallie e avrebbe ottenuto l'appoggio dei soldati fedeli a Mitra, i quali portavano sulle insegne il simbolo di marte, simile al Chi-Ro Cristiano.
Questa ricostruzione torna come tempi, luoghi e coerenza storica.
Vi sarebbe anche una ulteriore, minoritaria, interpretazione pagana della leggenda.
Secondo tale ricostruzione il segno sarebbe stato visto da Costantino durante la sua visita al tempio di Apollo/Grannus a Grand, fra Treviri e Lione. In questo caso all'imperatore sarebbero apparse tre X o tre corone di alloro, come previsione di un trentennio di vittorie.
Proprio dalla compresenza di più letture del fatto, ebbe origine la versione tradizionale, che vuole la visione avvenuta nei pressi di Roma il giorno precedente la battaglia di Ponte Milvio.
Questa ricostruzione ha lo scopo di far collimare le versioni di Eusebio di Cesarea e Lattanzio e togliere credibilità alle ricostruzioni di impronta pagana della vittoria di Costantino.
Eppure la ricostruzione che vuole i fatti avvenuti presso le Chiuse di San Michele e il segno identificabile come il simbolo di Mitra rimane, alla luce della situazione storica e sociale del tempo, quella più credibile e coerente.