
LA MISURA DEL TEMPO

Noi diamo per assodato che il tempo vada misurato e che esistano dei capisaldi nella sua misurazione: i giorni, i mesi e le stagioni.
I primi sono legati al ciclo solare della rotazione terrestre sul proprio asse, i secondi al ciclo lunare e i terzi alla rivoluzione terrestre attorno al Sole.
Sono questi i fondamenti della misurazione del tempo in quanto si tratta, sicuramente, dei principali elementi che ne descrivono il trascorrere, quelli maggiormente visibili a occhio nudo.
Nello specifico il giorno è delimitato dal comparire e dallo scomparire del Sole e di conseguenza, della luce, essendo identificato come intervallo che va dall'alba e al tramonto o da un'alba a quella successiva; il mese è legato ai cicli lunari e corrisponde al periodo di tempo esistente fra la comparsa di due lune piene o nuove; le stagioni sono legate alla distanza della Terra dal Sole e questo viene percepito attraverso il cambiamento del clima e dei cicli vitali sulla Terra.
Per tutti noi è, pertanto, scontato che il tempo, anche attraverso unità di misura differenti nel corso delle ere, sia sempre stato calcolato secondo le modalità a noi note: in porzioni di giorno, di mese, di anno, e in multipli di anni.
Questa ricostruzione è, però, forzata e priva di fondamento logico.
Per quale motivo gli esseri umani, prima dell'organizzazione della loro vita in società complesse con compiti condivisi, prima dell'agricoltura e dell'allevamento, avrebbero dovuto prendersi la briga di misurare il tempo?
Pensandoci bene non esisteva alcun motivo e la necessità di misurare il tempo è sorta con l'evoluzione della società, che ha portato ad un'evoluzione nella filosofia, da cui è derivata un'evoluzione nelle scienze, che ha portato ad un'evoluzione nelle modalità di misurazione del tempo, che ha portato ad un'evoluzione della società, il tutto in un circolo vizioso che procede ancora oggi.
La divisione dei compiti, infatti, ha comportato la necessità di misurare il tempo, che ha portato l'essere umano ad una presa di coscienza della propria collocazione, non solo nello spazio, ma anche nel tempo stesso.
L'uomo, che all'inizio prendeva in esame solo lo svolgersi naturale degli avvenimenti, di per sé ciclico e quindi fatto di ritorni (i giorni, i mesi, le stagioni), inizia a considerare il tempo in maniera convenzionale in modo da poterlo utilizzare per misurare le proprie attività non naturali. Le cose non naturali hanno, però, un inizio e una fine e, quindi, anche il tempo convenzionale la ha: nella mente dell'uomo nasce il concetto di tempo lineare.
Il primo pensiero dell'uomo è che se in natura gli avvenimenti sono ciclici - ogni giorno ricomincia, ogni mese ricomincia, ogni anno ricomincia - allora per ogni cosa deve essere così.
Anche la vita umana deve avere questa caratteristica e una volta arrivata al termine, deve ricominciare. Si fa strada l'idea di rinascita. Solo che il corpo si decompone e i morti non rinascono, per cui occorre trovare un modo per ricondurre la vita umana nel ciclo naturale delle cose.
Si assume che la rinascita dia origine ad una nuova vita, come il Sole sorge sempre da un punto diverso: il defunto rinasce in un mondo diverso o in un corpo diverso.
Con il concetto di tempo lineare, però, cambiano i punti di vista e, con il subentrare del tempo lineare al tempo ciclico, la vita umana e la filosofia che la regola, vengono rimodellati: noi, ormai, non abbiamo più una concezione filosofica del tempo ciclico. Questo ci appare come una costruzione fantasiosa e priva di fondamento reale: il tempo è lineare, ogni cosa ha un inizio e una fine.
Secondo la concettualizzazione derivante dalla linearità del tempo, ogni giorno è un giorno nuovo, ogni mese è un mese nuovo e ogni anno è un anno nuovo, ciascuno diverso e non connesso al precedente.
Inconsciamente, però, si va oltre: anche l'uomo che nasce è un uomo nuovo.
Non esiste più necessità di giustificare la rinascita in qualche modo perché non esiste rinascita: come in natura ogni cosa è nuova e diversa dalla precedente, anche noi lo siamo e abbiamo un inizio e una fine.
Questo modo di vedere il tempo e la sua relazione con la vita umana e con la filosofia, si percepisce perfettamente dall'evoluzione degli strumenti di misurazione del tempo nel corso dei secoli.
In principio si usavano le meridiane. Queste sfruttavano la luce solare, utilizzando lo spostamento del Sole nel corso del giorno per misurare il passare del tempo. Si tratta di una misurazione passiva, legata ai cicli naturali. L'uomo opera con la luce del giorno e, quindi, gli è sufficiente misurare il tempo diurno per lo svolgimento delle proprie attività. Non ha alcun potere sul tempo e il tempo incide sulla sua vita solo per i massimi sistemi: nascita e morte; semina; procacciamento del cibo; creazione delle scorte alimentari. Si tratta di un tempo che segue i ritmi naturali.
La misurazione del tempo permette, però, di poter regolare la propria vita e poter progettare il futuro, perché il tempo non è più solo quello passato, ma anche quello futuro, nella certezza di sapere quale sarà la sua durata e poterlo suddividere per progettare il compimento di attività.
Questo porta ad un'evoluzione sociale e tecnologica e anche gli strumenti per la misurazione del tempo si evolvono.
Arrivano gli orologi idraulici e le clessidre. Si tratta di attrezzi che sfruttano la natura, ma per compiere azioni predisposte dall'uomo: come nella vita di tutti i giorni, l'uomo manipola la natura per i propri scopi. Ma inizia anche a manipolare il tempo: per restando legato alla natura, il tempo viene calcolato e suddiviso dall'essere umano secondo le proprie necessità, indipendentemente dai cicli naturali, in maniera sempre più spiccata e profonda man mano che i secoli passano. I ritmi sono, però, sempre quelli naturali, anche se si applica il calcolo del tempo secondo le necessità sociali e tecnologiche dell'uomo.
Il passo successivo è l'utilizzo di orologi meccanici, che sono sganciati dalla natura in quanto funzionano per semplice intervento umano: si usano molle o pendoli, creazioni dell'uomo che applica leggi naturali a costrutti meccanici per poter misurare il tempo in ogni situazione, anche in assenza degli elementi naturali che permettono, normalmente, di misurare lo scorrere del tempo.
Il tempo diviene standardizzato ed uguale in ogni parte del mondo e in ogni periodo dell'anno. Non è più legato al sorgere del Sole, ai cicli lunari o alle stagioni. Scorre e viene misurato comunque. L'uomo di compie l'ultimo atto: si sgancia dalla natura e la manipola per i propri interessi.
Allo stesso modo in cui crea gli orologi, che funzionano e misurano il tempo liberamente, egli sgancia la propria vita e il proprio pensiero dallo stato di natura e lo rende indipendente.
L'uomo ormai non è più legato ai cicli solari e naturali per il compimento delle proprie attività, ha trovato il modo di compierle a suo piacimento, in ogni momento, ideando luci artificiali che permettono di ricreare il giorno e coperture che permettono di ricreare la notte; serre e frigoriferi che permettono di ricreare le stagioni.
Alla fine l'uomo, per mezzo della scienza, si sostituisce a Dio e alla natura: non gli servono più, lui basta a sé stesso.
Tutto ciò si ripercuote, però, anche nella filosofia e nell'etica: tutto viene regolato dal tempo e dal denaro, che è un unità che converte il tempo in utilità scambiabili, in modo da poter ottenere cose che sono stati create nel corso del tempo di altri.
Questo avviene perchè, alla fine, la vera ricchezza non sta nelle cose in sé, ma nel tempo, che è necessario per crearle e che limita la durata della nostra vita.
Concettualmente l'uomo primitivo ha solo ciò che può creare da sé nel tempo limitato della propria vita quotidiana e complessiva. Con l'evoluzione, però, la società ha suddiviso i compiti, permettendo a ciascuno di avere altro oltre a ciò che può produrre o trovare da solo. Le scambia, le compra, le ruba.
E se un uomo ha cose in una quantità che potrebbe produrre o raccogliere solo in migliaia di anni, allora vive migliaia di anni.
In questo modo l'essere umano supera la mortalità e diviene immortale perché comprime l'eternità nel tempo di una singola vita.
L'uomo si sostituisce a Dio, il quale muore perché non serve più.
Siamo noi le divinità di noi stessi.
Sorge però un problema: non ce ne rendiamo conto.
Non siamo riusciti ad evolvere il concetto di divinità.
Continuiamo che la divinità sia superiore agli esseri umani e, ritenendoci divinità, crediamo di essere superiori a chi ci circonda, migliori di loro. Siamo convinti che sia nostro diritto poterli usare e nostro compito doverli guidare.
Chi non ci segue sbaglia.
L'evoluzione dei metodi e delle modalità di misurazione del tempo è, quindi, indice, misura e motore dell'evoluzione umana.
Curiosamente, però, la struttura degli attrezzi atti a misurare il tempo è duale.
In principio, quando per l'uomo il tempo è circolare, gli strumenti sono lineari: le aste e gli obelischi delle prime meridiane.
Successivamente, quando l'uomo sviluppa il concetto di tempo lineare, che si diffonde e soppianta quello circolare, la misurazione del tempo diviene un misto di circolarità e linearità: le clessidre e gli orologi idraulici operano per spostamenti lineari – la caduta della sabbia o dell'acqua – ma attraverso movimenti circolari – il rovesciamento della clessidra o del serbatoio dell'acqua.
Quando il concetto di tempo lineare soppianta definitivamente ed elide quello di circolarità, la sua misurazione diviene circolare: l'orologio con lancette ha una struttura circolare completa.
Al giorno d'oggi si è andati anche oltre: il tempo è completamente sganciato dalla natura e regola ogni elemento della nostra vita in maniera autonoma e indipendente, permettendoci di essere divinità.
La misurazione del tempo avviene, quindi, in maniera astratta: leggiamo numeri su oggetti di qualsiasi forma, creati da noi.
Il tempo è standardizzato secondo una creazione umana, necessaria alla propria evoluzione sociale e alla propria trasformazione in divinità.
I numeri che noi leggiamo sugli oggetti atti a misurare lo scorrere del tempo, richiamano idee ataviche legate allo stato naturale ma sono, in realtà, mere convenzioni simboliche, che ci convincono di avere il controllo sul fondamento della vita: il tempo, appunto.
Si tratta, però, di un controllo fittizio: la nostra vita continua, in realtà, ad essere regolata dalla rotazione della Terra, dalla rivoluzione della Luna e dalla rivoluzione terrestre.
E noi possiamo solo inventarci un universo a nostra misura per pensare di poter controllare tutto questo. Controlliamo però, e nemmeno troppo bene, solo questo universo fittizio, chiamando caso o imprevisto l'intervento in esso dell'universo reale.